Giovedì, 29 Maggio 2014 11:09

Lalibela - La Croce e il Sador

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 Nel profondo del deserto etiopico, ben nascosta tra i torridi altipiani a nord di Addis Abeba, sorge ancora quella che, per un breve periodo, fu la capitale del potente regno axumita. La sua storia leggendaria comincia con la prodigiosa nascita del suo futuro edificatore, segnata dall'improvvisa comparsa di uno sciame di api che si posarono sulle sue membra. Fu così battezzato Lalibela, “le api riconoscono la sovranità”.

 Non appena giunta l'età, fu senza indugio eletto re, ma il fratellastro ci mise poco a spodestarlo. Costretto a fuggire dalla terra natìa nel 1160, Lalibela riparò dunque a Gerusalemme, dove rimase per ben 25 anni, prima di tornare in patria e sedere di nuovo sul trono etiope. Quando nel 1187 Saladino prese la Città Santa, rendendola inaccessibile ai pellegrini, Lalibela, ispirato da sogni e visioni, diede inizio all'ambizioso progetto di trasformare la capitale del regno, Roha, in una nuova Gerusalemme.

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Scalpellini e operai assoldati perfino in Egitto e in Siria (a quanto si racconta), spostando e scavando almeno centomila metri cubi di pietra, riuscirono a realizzare il sogno del re in 24 anni.

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Leggenda vuole che durante il giorno il lavoro fosse portato avanti dagli operai, mentre di notte erano addirittura gli angeli a proseguirlo.

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L'enorme complesso, suddiviso in tre distinte aree e che prese il nome dal re, Lalibela, comprendeva ben 11 chiese monolitiche, interamente scolpite nel tufo dell'acrocoro etiopico, dotate di cripte sotterranee e di un ingegnoso sistema idrico.

A questo stesso periodo risale il simbolo stesso di Lalibela, la sua croce di bronzo e oro del peso di 7 kg, uno degli oggetti religiosi più venerati del paese, ancora custodita in una delle chiese, Bet Medhane Alem.

foto 1wbOgni città, regione e paese etiope ha la sua tipica croce, sempre molto elaborata e particolare, ma quella di Lalibela è forse la più antica, insieme a quella axumita (la cui somiglianza con la croce ansata dei templari ha scatenato fantasie di ogni genere). Nessuno sa veramente quale possa essere il significato delle sue intricate decorazioni.

Certo è che, come tutte le croci etiopi, anche quella di Lalibela viene mostrata pubblicamente solo se adornata con una “sciarpa” infilata attentamente polarizzata nei due “occhielli” inferiori, quasi fosse lo sbaffo bipartito di un'antenna.

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La presenza al centro del Cristo crocifisso e di sei avvolgimenti per lato, lungo la parte alta del perimetro tondeggiante, più uno coronato da una piccola croce al centro, vengono per lo più interpretati come “Gesù e gli apostoli”.

Tradizione vuole anche che, come per la maggioranza delle croci etiopi, le due spire terminanti a becco che si dipartono dal pennone centrale, siano le mani di Adamo che reggono il patibolo.

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Non è del resto sfuggita neppure la somiglianza della croce di Lalibela con l'Ankh degli antichi egizi, fatto che in verità non stupisce se si considera che il cristianesimo copto è di chiara matrice egiziana. La forma che condividono è quella “a goccia”, la medesima condivisa da molte, moltissime civiltà e che richiama anche quella uterina. A riprova, al Gesù morente al centro della croce di Lalibela, viene a volte sostituita l'effige della Vergine con Bambino.

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Quanto alle “mani di Adamo”, il perno centrale (che ha anche lo scopo pratico di alloggiare la punta del bastone su cui viene issata la croce) ricorda vagamente nella forma i lingam vedici, un vero e proprio “asse” tra i mondi; le due linee sinuose simili a colli di cigno, paiono invece snodarsi come serpi intorno all'asse centrale. L'insieme così richiama molto da vicino il caduceo ellenico.

La tripartizione è poi un elemento che viene ripetuto in ogni particolare dell'oggetto. Perfino i cosiddetti “apostoli” disposti quasi fossero una corona, sono un insieme di due linee curve convergenti sormontate da un piccolo cerchio al quale si ricongiungono.

C'è poi un ulteriore dettaglio che non può passare inosservato: la presenza, dei “cinque chiodi della croce”, che nella lingua liturgica etiope, il Ge'ez, hanno un nome preciso: Sador, Alador, Danat, Rodas, Kenat.

Questi cinque “nomi sacri” fanno comunemente parte della mequteria, l'insieme di preghiere che il fedele copto dovrebbe recitare ogni giorno, aiutandosi con un cordoncino di perline simile al rosario cristiano.

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La sua origine si perde nelle spire del tempo. Di certo, l'uso dei cinque nomi come invocazione è già ripetutamente presente in uno degli antichi libri religiosi etiopi, il Lefafa Sedek, conosciuto anche come “Libro Etiope dei Morti”, per le sue somiglianze con l'omologo egizio, dal quale in certa misura deriverebbe.

E ancora, la somiglianza dei cinque nomi con il famoso quadrato magico “SatorArepoTenetOperaRotas” è sbalorditiva, al punto che alcuni studiosi sono giunti a ritenere i “cinque nomi” un'errata trascrizione copta proprio del popolare palindromo.

Spesso la formula è riportata nei “magic scrolls”, piccoli rotoli di pelle su cui sono vergate preghiere ed invocazioni. Capita anche di trovare i cinque nomi graffiti sui muri delle chiese. Quello all'interno della chiesa rupestre di St. Neakuto, poco distante da Lalibela, dipinto in rosso in un angolo poco visibile è addirittura inserito in reticolo quadrato.

 

La formula più nota è

ሣ ዲ ር SADOR (da sadara: ordine, mettere in ordine, arrangiare)

አ ላ ዲ ALADOR (da adar: vegliare, o anche vigilare la terra, per estensione “contadino”)

ዳ ና ት DANAT (da danet: salvezza)

ሮ ዳ ስ RODAS (dalla radice rd / frd: giudizio)

ቄ ና ት QENAT (da qnat: ardore/zelo)

È evidente una certa somiglianza tra l'etimologia dei “cinque nomi” e i significati attribuiti al “Sator”.

 

Scavi archeologici hanno poi restituito una variante meno usata:

ሳ ዶ ር SADOR

አ ላ ዶ ር ALADOR

ዳ ና ት DANAT

አ ደ ራ ADERA

ሮ ዳ ስ RODAS

 

La funzione salvifica, di guarigione, di queste cinque parole è ben nota tanto tra i copti etiopi quanto nella vecchia Europa. Gerolamo Cardano, nel XVI secolo, ad esempio, cita nel “De Rerum Varietate” (il trattato in cui compare la descrizione del giunto meccanico che porta il suo nome) l'episodio di una guarigione dalla pazzia di cui sarebbe stato protagonista un cittadino lionese, sanato con un pasto mistico di tre croste di pane decorate con una quadrato e la recita di cinque “paternoster” in ricordo delle “cinque piaghe” e dei “cinque chiodi” della Croce di Cristo.

E ancora, un “sator” scoperto nel 1850 nel Glamorganshire pare fosse usato come rimedio per guarire dal morso di cani malati di rabbia.

Se tuttavia la tradizione vuole che i nomi siano quelli delle “piaghe” e dei “chiodi”, l'iconografia etiope sembrerebbe suggerire che questi “attributi” non siano propri solo di Cristo, ma anche di altri personaggi “sacri”, come la Madonna, San Giovanni o addirittura la “Trinità”.

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In conclusione, se la Croce di Lalibela con la sua corona di frequenze pure, i campi vitali concentrici e la linea di forza tripartita a più livelli, sembra restituire l'immagine dell'uomo-Cristo, perfetto, integrato in tutte le sue strutture, quale “termine”, unica via a cui tendere, i “cinque chiodi” potrebbero rappresentare i “segni” visibili e tangibili dell'uomo spiritualizzato, salvifico per sé e per molti.

 

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BIBLIOGRAFIA:

Rino Camilleri, Il quadrato Magico, 1999

Graham Hancock, Il Mistero del Sacro Graal, 1995

Paolo Siniscalco, Le antiche chiese orientali, 2005

E. A. Wallis Budge, Lefafa Sedek: the Bandlet of Righteousness or an Ethiopian Book of The Dead, 1929

Marie Trevelyan, Folklore and folk stories of Wales, 1909

 

 

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Francesco Teruggi

Scrittore e giornalista pubblicista. Direttore delle collane "Malachite" e "Topazio" presso Giuliano Ladolfi Editore. Autore del saggio divulgativo "Il Graal e La Dea" (2012), del travel book "Deen Thaang - Il viaggiatore" (2014), co-autore del saggio "Mai Vivi Mai Morti" (2015), autore del saggio "La Testa e la Spada. Studi sull'Ordine dei Cavalieri di San Giovanni" (2017), co-autore del saggio storico "Il Filo del Cielo" (2019) pubblicato in edizione italiana e in edizione francese. Presidente dell'Associazione Culturale TRIASUNT. Responsabile Culturale S.O.G.IT. Verbania (Opera di Soccorso dell'Ordine di San Giovanni in Italia).

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