“Così affiancato [solo] dalla sua risolutezza, deciso all'Illuminazione, si recò ai piedi di un baniano, ove il suolo era cosparso d'erba” (canto XII, 115)
“Allora Kala, il migliore dei Naga, forte come il re degli elefanti, venne destato dall'incomparabile suono dei suoi passi e come ebbe la certezza che era giunto per il gran saggio [il momento] dell'Illuminazione, proferì questo elogio: da come la terra, calpestata dai tuoi piedi, quasi tuona ripetutamente, o saggio e da come il tuo fulgido aspetto splende come il sole, certamente in questo giorno gusterai il desiderato frutto” (canto XII, 116, 117)
Così Siddharta si appresta a compiere il duro percorso verso l'Illuminazione:
“Egli assunse allora la somma, incrollabile postura, che è raccolta come le spire del serpente addormentato e disse “io non mi scioglierò da questa posizione in terra fin quando non sarò giunto a compiere ciò che devo compiere” (XIII, 120)
Ma il “male” non tarda a manifestarsi, cercando in ogni modo di distoglierlo dai suoi intenti:
"Allorché il gran veggente nato da stirpe di re-veggenti, votatosi alla Liberazione si fu seduto in quel luogo, il mondo gioì; ma Mara, nemico della vera Legge, prese a tremare". (canto XII, 1)
"Prese dunque l'arco fatto di fiori e le cinque frecce, fonte di illusione per il mondo e si recò ai piedi del baniano assieme ai figli, lui fonte di inquietudine per le menti delle creature". (Canto XIII, 7)
"Vedendo nella prima parte della notte [approssimarsi] l'ora della battaglia tra Mara e il toro degli Sakya, il cielo non diede più luce, la terra tremò e i punti cardinali lampeggiarono fragorosamente". (canto XIII, 28)
Mara sembra invincibile. Ben presto però, guerrieri benigni giungono in aiuto di Siddharta, fortificandolo nel suo intento e togliendo al “male” ogni possibilità di successo:
"I Naga che, devoti alla Legge, reggono la terra, non tollerarono che il gran saggio venisse ostacolato; storcendo furiosi gli occhi contro Mara, sibilarono e allentarono [le spire].” (canto XIII, 30).
"Ma benché tutte le creature rabbrividissero per quei loro ruggiti, il saggio non tremò né si ritrasse, come Garuda al gracchiare dei corvi". (canto XIII, 54)
"E quanto meno il saggio era spaventato dalle terrifiche schiere di quel consesso, tanto più Mara, nemico dei difensori della Legge, si accasciava per la costernazione e la rabbia". (canto XIII,55)
Finchè la lotta giunge al termine:
Allora un essere invisibile di grande perfezione vide dal cielo Mara pieno di ingiustificata ira e di malizia verso il gran veggente e così gli disse a gran voce:”Mara non affaticarti invano, abbandona la tua mala disposizione, acquietati: tu non puoi far tremare costui, così come il vento no può scuotere il monte Meru. Il fuoco potrà forse rinunciare al suo naturale calore, l'acqua alla fluidità, la terra alla compattezza, ma lui, che ha accumulato atti meritori per più di un'epoca cosmica, non potrà mai venir meno a suo proposito. Infatti, per quello che è il suo fermo intento e il suo coraggio, per l'ardore, per la compassione verso gli esseri viventi, egli non si alzerà senza aver raggiunto il vero, così come il [sole] dai mille raggi non si leva senza aver distrutto le tenebre. (canto XIII, 56-59)
Infatti
L'albero della conoscenza ha per fibra la pazienza, affonda le radici nella fermezza; il suo fiore è la buona condotta, i suoi rami la consapevolezza e l'intelletto e il frutto che dà è la Legge: esso pertanto non va sradicato mentre cresce. (XIII, 65)
Siddharta raggiunge così l'agognata soglia dell'Illuminazione, come l'invisibile e perfetto essere testimonia:
Oggi è maturato il tempo per le opere che ha compiuto per l'Illuminazione; egli si è quindi seduto in questo luogo proprio come hanno fatto i saggi precedenti. Questo infatti è l'ombelico del mondo, in cui si concentra nella sua interezza il massimo potere; non vi è altro luogo sulla terra oltre a questo che possa reggere la forza della contemplazione in lui. (XIII, 67-68)
Mara pertanto, udite le sue parole e constatata l'imperturbabilità del gran saggio, abbattuto e sconfitto nei suoi sforzi se ne andò assieme a quelle frecce che sono causa di strazio nel cuore delle creature. (XIII, 70).
Infine ottiene la Liberazione:
Allora, per sette giorni, libero da malessere del corpo, egli (il Buddha) sedette contemplando la propria mente e i suoi occhi non ammiccavano mai: il saggio, riflettendo che in quel sito aveva raggiunto la Liberazione, realizzò il desiderio del cuore (XIV, 94).
Il poema si conclude poi con una difficile decisione:
Vedendo che il mondo si perdeva dietro alle false opinioni e agli sforzi vani e che le sue passioni erano grossolane e vedendo inoltre che la Legge della Liberazione era sottile, decise di rimanere immobile. (XIV, 96)
Poi, ricordandosi della sua precedente promessa, si risolvette di predicare la somma pace. (XIV, 97)
La portentosa raffigurazione perciò, si potrebbe anche chiamare“ buddha della somma pace”.
BIBLIOGRAFIA:
Passi Alessandro (a cura di), Asvaghosa: Buddhacarita canti I-XIV, Milano, Adelphi, 1979
Cowell, E.B. The Buddhacharita of Asvaghosha, Oxford, SBF, 1894.