Gli studiosi hanno tentato infinite interpretazioni e catalogazioni per spiegare la “sacralità” della lingua. Secondo Renè Guènon, una lingua sarebbe tale solo se è stata utilizzata o, meglio ancora, creata per formulare gli scritti sacri di ogni cultura. Diversamente si può parlare al più di “lingua liturgica” o “fissa”. Va da sé che ogni lingua “sacra” è anche lingua “fissa”, ma non necessariamente il contrario.
Esisterebbero lingue sacre “primarie”, cioè nate appositamente come tali e “secondarie”, divenute sacre perché così finirono per essere percepite. Ma, in generale, la caratteristica che sembra unirle tutte, è il loro uso: sarebbero “modi” di organizzare l'esperienza religiosa (Christine Mohrmann) e aiuterebbero a “vivere la sensazione dell’al-di-là” (card. Albert Malcolm Ranjith).
La mia impressione è che tutte queste definizioni in qualche modo siano volutamente “superficiali”, “di facciata”.
E allora? Cominciamo dal suono. Le parole e le loro trasposizioni in forma grafica sono suoni, sono vibrazioni. Come tutte le frequenze, interagiscono con l'uomo, con gli esseri viventi, con tutto. Basti pensare alle sinfonie dei grandi compositori barocchi e non solo, che vengono ormai da tempo impiegate con successo a scopo terapeutico.
Ma, si badi bene, non tutti i compositori e le composizioni funzionano, non tutto funziona al meglio. Solo ciò che è adatto, solo i suoni che servono in un certo momento e che hanno coerenza con un certo scopo, funzionano. Non a caso un celebre cabalista come Moise Del Leon diceva che “il suono della parola costituisce l'inizio della materializzazione del vuoto”.
Sul suono che, se coerente allo scopo, funziona come onda portante, può allora appoggiarsi la parola, il messaggio ad un diverso livello. Così, la parola e il suono, vibrano come un insieme armonico e toccano contemporaneamente piani differenti. Perciò talune culture hanno operato distinzioni nette tra la lingua di uso comune e quella riservata alla sacralità. E' accaduto, ad esempio, nell'Etiopia copta, la cui lingua comune ancora oggi è l'Amharico, ma quella rituale è il Ge'ez. E allo stesso modo, si può comprendere perché il Latino si presti meglio alla liturgia piuttosto che l'Italiano corrente.
Ancor più potente può essere una lingua, poi, se porta lo stesso messaggio e la stessa vibrazione anche nella sua forma scritta. In questi casi, le singole lettere che corrispondono ai suoni e che, nelle loro sequenze creano le parole, sono esse stesse forme che riproducono vibrazioni. Lutero a tal proposito sosteneva che “lalingua ebraica è la migliore di tutte e la più ricca di parole. Se fossi più giovane, vorrei imparare questa lingua perché senza di essa non si può comprendere rettamente la Sacra Scrittura".
Casi particolari sono quello del Sanscrito o dell'alfabeto etiopico (e non solo): sono usati tanto per l'idioma parlato che per il corrispondente “rituale” (Amharico e Ge'ez condividono il medesimo alfabeto), ma diventano “davvero potenti” solo nel secondo caso. Il motivo è lo stesso che giustifica talvolta, la potenza di litanie e canti anche se non recitati in una lingua “sacra”, oppure l'uso di nomi e parole apparentemente incomprensibili, senza senso compiuto, eppure “potenti”: il Ritmo.
Esso regola come e quando le energie si propagano. Poiché le parole non sono solo rumore, suono, ma anche forma, esso rende conformi gli uni e gli altri. Nei sistemi di magia africana e orientale sono conosciuti modi per provocare stati di trance facendo uso solo del ritmo, che può causare variazioni evidenti anche ai bioritmi vitali (pulsazioni del cuore, secrezioni delle ghiandole, ecc.).
Senza l'unico ritmo giusto e coerente, il movimento dell'Universo su tutti i piani, livelli e dimensioni, nessuna lingua, anche se potente, è veramente sacra. Ma qualunque lingua, se segue il Ritmo, anche se i suoi segni non sono adatti o i suoi suoni non sono precisi, può diventare sacra. Essa allora, trasforma, o meglio, crea trasformando, trasmuta l'uomo e lo avvicina all'Infinito.
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