Mercoledì, 12 Dicembre 2012 18:01

Taj Mahal: Tomba o tempio vedico? - prima parte

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Oggi voglio scrivere di una strana faccenda, risalente agli anni Settanta/Ottanta e relativa al celeberrimo e meraviglioso Taj Mahal. Il protagonista della vicenda è uno storico indiano, Shri Purushottam Nagesh Oak, autore, prima in hindi e poi nel 1989 in Inglese, di un controverso libro "Taj Mahal - The true history".

In esso, sosteneva - e continuò a sostenere fino alla morte, avvenuta nel 2007 - che il bianco cenotafio islamico di Agra, sia in realtà un antico tempio hindu dedicato a Shiva, usurpato al tempo dell'impero Moghul (Mughal in lingua persiana).

Oak tentò diverse volte di presentare e far approvare petizioni al governo Indiano affinchè fosse riconosciuta la reale natura del Taj e il suo esempio fu seguito da altri storici. Altrettanti però furono i suoi detrattori e avversari.

 

 

A ricordo della mai conclusa vicenda rimane la mole delle informazioni che riuscì a raccogliere. Non risolvono il mistero, ma offrono sicuramente molti spunti su cui riflettere con attenzione.

Ma andiamo con ordine...

La storia come viene raccontata

Taj Mahal significa “Palazzo della Corona”. Dall 2007 rientra nel novero delle sette meraviglie del mondo moderno. Si trova sulle rive del fiume Yamuna, ad Agra, India Settentrionale.
La storia del monumento è dubbia e avvolta da leggende.
Fu costruito, si racconta, dal quinto imperatore Mughal , Shah Jahan, nel 1631 in memoria della sua seconda moglie, Mumtaz Mahal,  principessa originaria della Persia. Pare fosse di una bellezza sconvolgente, la donna più affascinante del regno. Sembra che Shah ne fosse talmente innamoratoda disdegnare altre concubine.

Mumtaz Mahal morì mentre accompagnava suo marito a Behrampur, durante una campagna per schiacciare una ribellione. Aveva appena dato alla luce il loro quattordicesimo figlio. La sua morte fu un vera tragedia per l’imperatore, al punto che i suoi capelli e la sua barba nel giro di pochi mesi diventarono completamente bianchi per il dolore.

Fece dunque costruire il Taj Mahal, per adempiere ad una delle promesse fatte all'amata. Lo fece bianco come il colore del lutto. E lo volle imponente e sfolgorante. La costruzione del Taj Mahal iniziò nel 1631 e fu completata in 22 anni. Probabilmente furono più di mille gli elefanti utilizzati per trascinare i pesantissimi marmi . Leggenda vuole, che a tutti i lavoratori impegnati nella titanica impresa siano state amputate le mani al termine della costruzione. Perché Shah Jahan voleva che l’opera non fosse mai più ripetuta. Poi meditò di costruirne un secondo identico ma di colore nero e di collocarlo di fronte al primo.

Ma non ne ebbe il tempo poiché una congiura di palazzo lo depose e lo rinchiuse nel Forte di Agra. Da questa apertura l’imperatore contemplava il lento scorrere del fiume e osservava il suo Taj Mahal cambiare colore a seconda della luce del giorno, oppure lo scorgeva velato delle nebbie del mattino, come un miraggio o un sogno lontano. E così per quattro anni sino a che morì.

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E se invece la storia fosse un'altra? Ecco i fatti ricostruiti da P.N. Oak.

L'ipotesi

Secondo Oak, Il Taj Mahal, o più precisamente l'edificio al centro di esso potrebbe avere un'origine molto antica e diversa da quella tradizionale. Fu costruito come tempio shivaita. Fu probabilmente dissacrato e riconvertito ad ogni conquista musulmana, da quella di Mohammad Ghazni in poi. Tra l'una e l'altra però, tornò a rifiorire come luogo di culto induista, fino alla sua definitiva riconversione sotto Shahjahan. Dove oggi si trova il Taj Mahal, quasi certamente Shahjahan fece costruire una tomba, ma essa si trova dentro l'edificio, non è l'edificio stesso.

Il Taj Mahal può dunque probabilmente essere identificato come il palazzo circondato da giardini in cui morì Babur nel 1630, dopo una lunga e turbolenta esistenza, come Vincent Smith adombra nel suo libro `Akbar the Great Moghul'.

Babur stesso nei suoi scritti, che risalgono a 100 anni prima di Shahjahan, si riferisce al palazzo come quello conquistato da Ibrahim Lodi e lo descrive contenente una camera interna centrale di forma ottagonale, con pilastri ai quattro angoli.

Gulbadanin Begun, la figlia di Babur nelle sue cronache intitolate `Hum ay un Nam a' cita lo stesso palazzo come “Casa Mistica”.

Su quali elementi Oak basava la sua ipotesi? Eccoli

Il nome

Lo si fa derivare convenzionalmente dal nome della principessa che vi è sepolta, MumTaz ul-Zamani. Ma è filologicamente difficile dimostrare che da tale nome, modificato derivi “Taj”, per sostituzione della “z” con la “j” e rimozione della prima parte del nome “Mum”.

Quanto al suffisso “Mahal” non risulta essere un termine arabo o musulmano. Anzi, è sanscrito e significa “residenza”. Diversi visitatori dell'epoca di Shahjahan, indicano più precisamente l'edificio con il nome “Taj-e-Mahal”, sanscrito, che ha una sbalorditiva somiglianza con “Tej-o-Mahalay”. Tale è il nome dell'antico tempio di Shiva Agreshwar Mahadev, il signore di Agra.

Il tempio

Secondo il Vishwakarma Vatushastra, antico e famoso trattato di architettura indù, in India esistevano 12 Yjotirlinga, 12 templi sacri a Shiva. Ogni tempio conservava un Linga, simbolo di Shiva. Tra tutti il più importante era il “Tej-linga”, custodito nel tempio presso Agra detto “Nagnateshwar”, dai serpenti Naga che ne decoravano il parapetto.

Questo era il maggiore dei cinque templi esistenti in città (gli altri sono il Balkeshwar, il Prithvinath, il Manakameshwar e il Rajarajeshwar) e di cui ancora la tradizione serba ricordo, ma la sua posizione è andata persa. L'importantza del culto è sottolineata dal nome degli abitanti della regione, “Jats”, il cui appellativo shivaita è “Tejaji”, chiaro riferimento al prezioso “Tej-Linga”.

Questi sono soltanto i primi indizi. Il lungo lavoro di Oak si concentrò nell'analisi dei documenti, della loro storicità e coerenza. Ma si interessò approfonditamente anche delle caratteristiche architettoniche, simboliche e artistiche dell'edificio,riuscendo a individuare molti elementi decisamente discordanti ed anomali.
Li analizzerò in un prossimo post. Aspettate e vedrete!

 

 


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Francesco Teruggi

Scrittore e giornalista pubblicista. Direttore delle collane "Malachite" e "Topazio" presso Giuliano Ladolfi Editore. Autore del saggio divulgativo "Il Graal e La Dea" (2012), del travel book "Deen Thaang - Il viaggiatore" (2014), co-autore del saggio "Mai Vivi Mai Morti" (2015), autore del saggio "La Testa e la Spada. Studi sull'Ordine dei Cavalieri di San Giovanni" (2017), co-autore del saggio storico "Il Filo del Cielo" (2019) pubblicato in edizione italiana e in edizione francese. Presidente dell'Associazione Culturale TRIASUNT. Responsabile Culturale S.O.G.IT. Verbania (Opera di Soccorso dell'Ordine di San Giovanni in Italia).

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