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Mercoledì, 07 Agosto 2013 12:10

Il mistero megalitico dei bal-men

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Quando si parla di megalitismo, soprattutto nel Vecchio Continente l'associazione immediata che si impone è con gli enigmatici dolmen e con le file di menhir che svettano verso il cielo, sparsi un po' in tutto il globo. Ma ci sono altri enigmatici relitti di quel tempo sparsi anche tra le nostre montagne.

 Queste strutture, talvolta davvero imponenti, vengono spiegate con gli usi più disparati, solitamente relegate alla tipologia dei “ripari” per i cacciatori o per gli armenti, oppure ricondotte a un qualche tipo di abitazioni trogloditiche tra le più antiche insieme alle grotte naturali. I rari ritrovamenti nei pressi di tali edifici, in parte naturali e in parte artificiali, in effetti, essendo costituiti per lo più da lame e punte in selce e resti di focolari, sembrano suggerire un'assidua frequentazione per scopi “pratici”, come rifugi temporanei.

A volte però, l'attribuzione pare frettolosa e fin troppo facile. L'uso di ripararsi sotto massi erratici sporgenti e in cavità poco profonde è certamente ben documentata fin dalla più remota preistoria, eppure ci sono strutture che con questi comportamenti hanno probabilmente ben poco a che fare. In Ossola – e non solo – sono note come “balme”. Il nome viene fatto derivare dal latino “valva”, “apertura” o dal celtico “bal-men”, “pietra alta”. Si tratta in sostanza di ambienti interni ricavati a partire da un grande masso piatto preesistente riutilizzato come copertura, oppure scavate dietro i muri a secco di contenimento delle balze. Non di rado sono completate da muretti, rampe o in qualche caso da menhir,canaletti, coppelle, vasche intagliate nella pietra. In casi straordinari presentano graffiti o addirittura pitture, come nel rarissimo caso di quella detta “dei cervi” individuata nel 2012 in Valle Antigorio, che custodisce almeno settanta pittogrammi rituali in ocra.

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Molte sono le storie sorte intorno a questi enigmatici edifici. Tra le comunità walser a sud del Monte Rosa è, ad esempio, frequente la tradizione della “processione dei morti” che vengono in paese di notte a ricevere i nuovi defunti tra mormorii di preghiera e stridore di catene, per poi tornare nell'oltretomba proprio attraverso una balma che ne costituirebbe l'ingresso più vicino.

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La domanda che ci si pone a questo punto è: come può un banale rifugio per cacciatori essere una anche una porta per l'aldilà, un “collegamento” tra i mondi? E cosa sono davvero le balme?

Proviamo dunque ad analizzarne alcuni esempi e a capire se si può dire qualcosa che, ancora, non è stato detto. Nella bassa Ossola sono ancora note molte balme. Tra le più interessanti ne ho studiate a modo mio due, entrambe sul versante sinistro orografico.

Erano gli anni Quaranta del Novecento, quando Giovanni Braganti, archeologo autodidatta, dopo aver rinvenuto in un suo terreno alle spalle di Mergozzo, sul lago omonimo, una necropoli di età romana, con cinquantasei tombe databili tra il I e il III sec. d.C., individuava non molto distante, in località Groppole, l'interessante e particolare struttura megalitica cui diede il nome di “Ca d'la Norma” o “Casa della Norma”.

Il nome proviene da quello della celebre figlia del capo dei druidi invocata come “Casta Diva”, protagonista dell'opera lirica “Norma” di Vincenzo Bellini, ma il sito non sembra essere di età celtica bensì anteriore, più antico.

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Un'altra struttura simile era invece già nota da tempo a qualche chilometro di distanza, nei pressi dell'edicola della Madonna della Vardaiola. La “triste” fama di questa balma, abbarbicata in un vallone scosceso, è legata alla storia leggendaria della “vègia dul balm” (vecchia della balma), la “bella Angiolina” che, agli inizi del '900 si sarebbe qui ritirata a vivere per amore, rimanendovi in solitudine anche dopo la morte del compagno1.

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Il mancato rinvenimento, in entrambi i siti, di oggetti o suppellettili idonei alla datazione non ha consentito di collocare con precisione le strutture, ma si ritiene possano risalire al periodo compreso tra il Neolitico e l'Età del Rame, in base ai raffronti con altre strutture simili, non solo in Ossola. Quel che non si mette ormai più in discussione quantomeno per la “Norma” è che il sito sia un antico luogo di spiritualità, insomma un luogo sacro dei Leponzi.

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Un discorso simile, sebbene con maggior prudenza, viene fatto anche per la “Vardaiola”, soprattutto da quando è stato individuato un masso coppellato a una cinquantina di metri a valle dell'edificio.

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A complicare lo studio di queste balme, concorre anche il loro evidente riutilizzo “recente”, forse come dispense o come ricovero per gli animali. Nel caso di Mergozzo il sito è stato vistosamente riadattato ad altri usi con muretti a secco e rimaneggiamenti delle pietre presenti in loco. Il muro frontale della Vardaiola invece è stato dotato di finestre con tanto di inferriate. In entrambi i casi poi l'ingresso è stato modificato per ospitare una porta o comunque un sistema di chiusura. E chissà quante altri cambiamenti, che non riusciamo più a individuare, hanno subito nel tempo.

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Sia come sia, entrambi i siti non sono più “originali” ed è pressoché impossibile ricostruirne le strutture primeve. L'unica cosa che, a sensazione, i due complessi ancora sembrano trasudare è una certa quale aura di spiritualità, abbastanza da ispirare l'idea che siano stati, molto tempo, fa, luoghi sacri.

Analizzandole meglio, però, i numerosi elementi che le due balme condividono sembrano indicare l'esistenza di un modello ben preciso e codificato. Sono ricavate al di sotto di un lastrone sporgente dal pendio, di forma simile come è vagamente simile quella degli ambienti interni tra di loro. Sulla sommità è presente in entrambi i casi una coppia di coppelle (alla Vardaiola ce n'é anche una terza al capo opposto). La lastra è percorsa da canalizzazioni che abbracciano due diversi lati. Alla Vardaiola è molto simile a una larga grondaia sul fronte, la “Norma” ha invece due canaletti serpeggianti. E ancora, la balma più grande è accoppiata ad una seconda cavità molto più piccola, localizzata sotto la prima oppure ricavata nel muro adiacente. La Vardaiola ha una monumentale rampa di accesso in pietra, la “Norma” è circondata da resti di terrazzamenti contenuti da muri a secco.NormaRilFullwebLa sacralità primordiale di questi due luoghi è invece ancora rintracciabile nel loro collegamento, tutt'ora esistente ma solo potenziale, con l'alto e con il basso. Da una parte è infatti possibile individuare un orientamento geografico studiato dei due edifici, quasi esattamente verso sud per la Norma, sudovest per la Vardaiola. Inoltre, altre linee di tipo astronomico sembrano unire elementi secondari a direzioni precise, in particolare alle albe a ai tramonti solstiziali d'inverno (visibili dai rispettivi siti). Questo ricollegherebbe le due balme ai più celebri complessi megalitici ossolani di Montecrestese (Croppole, Castelluccio, ecc.) che presentano, in ripetute occasioni, lo stesso tipo di allineamenti. Dall'altra, una breve ricognizione di tipo radioestesico ha individuato il preciso e voluto posizionamento delle due balme su incroci d'acqua, caratteristica tipica dei luoghi sacri di ogni tempo.

La stessa metodica ha poi inaspettatamente motivato anche un altro aspetto inquietante comune alle due strutture. Soprattutto nel caso della Balma d'la Vardaiola, ma è chiaramente evidente anche per la Ca' d'la Norma, gli ambienti interni sono assolutamente puliti, privi di escrementi animali e della traccia di insetti (ragnatele ecc.), nonostante si trovino nella profondità dei boschi e rappresentino ripari adeguati per la fauna eventualmente presente. Gli animali – bisognerebbe prestare grande attenzione alla natura – insomma evitano accuratamente quei luoghi.

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L'assetto vibrazionale delle due balme, in effetti, presenta una forte incoerenza. I vani sono quasi mefitici, opprimenti, fastidiosi. Sono come bocche scure e spalancate pronte ad inghiottire chiunque si avvicini. Ma ciò è in apparente contrasto con la loro sacralità. Sono dunque luoghi cattivi, demoniaci? Le croci incise sulla sommità della Balma d'la Vardaiola o all'interno dell'architrave alla Ca' d'la Norma, potrebbero essere in qualche modo un indizio. Per quanto possano essere variamente definiti “segni di cristianizzazione” o di “ri-cristianizzazione”, sono prima di tutto dei veri e propri tentativi esorcistici. Non si intende qui l'esorcismo nel senso “liturgico” del termine, ma, in senso più ampio, quale gesto che tende a ristabilire la coerenza perduta, allontanando tutto ciò che ha causato gli scompensi. In quest'ottica si può capire meglio l'inveterata usanza montana di segnare i confini dei terreni - e non solo - proprio con croci incise.

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Per farla breve è probabile che chi ha ri-occupato in epoche più tarde questi siti, accorgendosi della loro “fastidiosità”, abbia cercato in qualche modo di porvi rimedio. La forte incoerenza rilevata infatti è caratteristica propria del sito, non un fenomeno per così dire “indotto”. Si tratta quasi certamente di una distonia “controllata” e necessaria al buon funzionamento del luogo sacro (come accade ad esempio per le Tombe dei Giganti in Sardegna), a patto che il luogo stesso (e chi ad esso è preposto) siano in grado di farne un uso conforme. Le molteplici e vistose modificazioni occorse nel tempo, privando il “tempio” delle necessarie strutture, hanno invece ridotto il “santuario” della balma a un luogo terribile e non recuperabile.

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Non sapremo probabilmente mai quale forma e funzione avessero queste due balme e provare a fare, a dire, a rimettere quel che manca, può solo peggiorare la situazione. Infatti si preferiva edificare ogni volta che era possibile un nuovo tempio su uno appartenente ad un'altra cultura, senza tuttavia distruggere il precedente. Un terreno consacrato è sacro per sempre. E forse dietro la legislazione cristiana (e di molte altre religioni...), che si rifà a questo principio tanto per le chiese quanto per i cimiteri, non si nasconde una questione di potere, ma piuttosto una regola positiva, da buon padre di famiglia, che scongiuri dalla possibilità di farsi male. E' una possibilità che può diventare realtà quando viene a mancare il rispetto per un luogo sacro e per la sua propria “originalità”.

 

 


NOTE

 

 1Alla stessa storia viene a volte ricondotta anche un'altra balma esistente qualche chilometro più a nord, a Cuzzago, nota proprio come “balma della vegia”.

 


APPROFONDIMENTI

 Le balme: http://www.in-valgrande.it/balma/balme.html

Sitinet, siti geologici e archeologici dell'Insubria: http://www.sitinet.org/

 


BIBLIOGRAFIA

Fabio Copiatti, Alberto De Giuli, Ausilio Priuli, Incisioni rupestri e megalitismo nel Verbano Cusio Ossola, 2003

Fabio Copiatti, Alberto De Giuli, Sentieri Antichi: itinerari archeologici nel Verbano Cusio Ossola, 1997

Jaques Bonvin, Mégalithes lieux d'énergie, 1999

Antonio Briganzoli, Il Territorio segnato: incisioni rupestri nel Verbano, 1998

Aa. Vv., La Luce del Toro: quali segreti nascondono i nuraghi monumento simbolo della Sardegna, 2011

Aa. Vv., Antigorio antica terra di pietra, 2012

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Francesco Teruggi

Scrittore e giornalista pubblicista. Direttore delle collane "Malachite" e "Topazio" presso Giuliano Ladolfi Editore. Autore del saggio divulgativo "Il Graal e La Dea" (2012), del travel book "Deen Thaang - Il viaggiatore" (2014), co-autore del saggio "Mai Vivi Mai Morti" (2015), autore del saggio "La Testa e la Spada. Studi sull'Ordine dei Cavalieri di San Giovanni" (2017), co-autore del saggio storico "Il Filo del Cielo" (2019) pubblicato in edizione italiana e in edizione francese. Presidente dell'Associazione Culturale TRIASUNT. Responsabile Culturale S.O.G.IT. Verbania (Opera di Soccorso dell'Ordine di San Giovanni in Italia).

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