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Domenica, 22 Marzo 2015 15:37

La voce della terra (parte 3)

... segue dalla seconda parte...

Fino alla metà del 1300 San Gaudenzio in Baceno non era che un semplice oratorio correttamente rivolto ad Est, su un promontorio roccioso all'incrocio tra la Valle Antigorio e il vallone del Devero.

Nel corso degli anni, con il crescere del numero dei battezzati nella zona e nel paese, i suoi spazi erano diventati insufficienti e a poco era servito edificare un ingresso coperto (l'attuale Cappella del Rosario opera del chierico Signebaldo de Baceno figlio di Giacomo). Nel 1486, si era perciò deciso di cambiarne l'orientamento in senso nord-sud per aggiungervi un nuovo e ampio corpo a tre navate, nell'occasione del matrimonio di Bernardino de Baceno, valvassore imperiale di Antigorio e Formazza, con la nobildonna Ludovica, figlia di Antonio Trivulzio, rappresentante del duca di Milano in Ossola.

 

Sibille3 1

 

Terminati i lavori nel 1524, era stato assegnato alla bottega del noto pittore novarese Tommaso Cagnola, il compito di affrescarne gli interni. Grazie alla sua opera era così comparsa negli intradossi degli archi laterali del presbiterio un'intera teoria di 16 sibille goticheggianti, divise in due gruppi, cui si aggiungevano i profeti biblici all'interno dell'arco centrale.

Una ventina di anni dopo, mentre Antonio Zaretti de Bugnate proseguiva l'opera del Cagnola, le navate laterali erano state parzialmente smantellate e ricostruite di maggior ampiezza con l'inserimento di due doppie file di archi per sostenere il peso. Questa volta il compito di decorare le nuove navate era stato assegnato all'ossolano Giacomo de Cardone, impegnato a dipingere anche gli interni della chiesa dei SS Pietro e Paolo di Crevoladossola, dove Fermo Stella da Caravaggio, di cui forse era allievo, aveva appena dipinto 8 sibille di gusto vagamente fiammingo all'interno dell'arco di accesso al presbiterio.

 

Sibille3 2

 

In tal modo era nata a Baceno una nuova teoria di 12 sibille negli intradossi del secondo, terzo e quarto arco laterale della navata occidentale, che andavano ad aggiungersi alle altre 16 già esistenti. Per quantità corrispondevano all'elenco canonico proposto da Filippo Barbieri (anche i vaticini riportati nella fasce di tutte le sibille in San Gaudenzio provengono dal Discordantiae). A ben guardare, però, la successione non è quella offerta dall'inquisitore domenicano.

 Sibille3 3

 

Non è certo che l'autore della nuova dozzina di pizie sia De Cardone ma, in questa apparente accettabilità di elementi dietro cui si nasconde un codice iconografico indecifrabile, sembra di ravvisare la volontà di una mente libera, tipicamente cinquecentesca, la cui ricerca interiore di conoscenza è divergente rispetto alla spiritualità imposta, proprio come quella del pittore di Montecrestese. Il ciclo che realizzò di sua mano nella sua dimora rappresenterebbe in modo allegorico proprio la sua inclinazione verso una gnosi di tipo alchemico e non a caso, fu poi coinvolto in un processo per eresia di cui fu unico imputato - poi scagionato - nel 1561 per presunta adesione al luteranesimo.

Neppure l'altra serie più antica sembra seguire un ordine conosciuto, anzi, compare perfino una sibilla “Asia”. Parrebbe che il Cagnola, o chi gli ha commissionato il lavoro, abbia voluto suddividere le sibille in due gruppi, orientali e occidentali, secondo il carattere di ciascuna, come fossero la rappresentazione delle due parti, dei due emisferi e delle due “epoche” del “nuovo” mondo trascendente di cui la chiesa antigoriana si apprestava a diventare testimone e baluardo.

 

Sibille3 4

 

Leggendo da occidente a oriente, in direzione del “nuovo”, del sole che nasce, cui corrispondeva l'asse dell'oratorio antico (dall'ingresso verso l'altare), gli affreschi sulle pareti di fondo della parrocchiale di Baceno, infatti, non si può non intuire un filo conduttore preciso e voluto, un “cammino” che, prendendo le mosse dalla spiritualità arcaica, quella della Madre fonte di ogni sostentamento e beneficio che viene “messa a riposo” (cappella della Vergine del Rosario, con una Mater galattofora e una “Dormitio Virginis”), rigenera ogni cosa con il Peccato Originale e la sua redenzione (Crocefissione) e attraversando le ere, sotto lo sguardo vigile delle pizie, diventa la nuova chiesa (cappella di S.Pietro).

Non è una soluzione del tutto nuova. Già Michelangelo aveva disposto sibille e profeti insieme alle scene bibliche della creazione nella volta della Cappella Sistina. Contemporaneamente aveva realizzato un impianto simile Arnault de Moles nella cattedrale francese di Auch, nel Gers.

Auch

 

Grazie a questa scelta e all'inserimento di un riferimento esplicito alla chiesa “nuova”, l'ideologia controriformista trova piena espressione in una valle pregna di tradizioni ancestrali, al confine con le terre svizzere pullulanti di eretici e miscredenti.

“Motore” invisibile di tutto il cambiamento sono così le sibille nei due archi e i profeti, attraverso cui il cambiamento si compie. Per lo stesso scopo il successivo ampliamento, affinché ogni cosa tornasse al suo posto, avrebbe richiesto l'inserimento di altre 12 sibille disposte, come la nuova parrocchiale, da Nord verso Sud.

Le sequenze di sibille a Baceno sono infatti successioni ordinate di fasi cicliche attentamente polarizzate e diversamente attive, come il sole durante il suo percorso nel cielo, flussi filtranti e selettivi che vivificano il luogo. La loro presenza inoltre è sempre un richiamo all'autorità divina, quella classica alla quale si rivolgeva l'uomo nell'antichità, ricevendone responsi e soprattutto quella di Dio Padre che aveva preannunciato la venuta del Figlio anche attraverso le loro parole. Infine, appartenendo ogni sibilla a un contesto geografico più o meno preciso, radunarle a Baceno e a Crevoladossola inseriva simbolicamente i due luoghi fra le “terre benedette”, quelle in cui gli dei avevano fatto sentire la loro voce, quasi fossero anche le due località ossolane “sedi” di sibille.

SchemaSibilleBaceno

In questa mappa simbolica in effetti c'é un particolare, una sorta di codice, un finto errore lasciato per trasmettere un messaggio. Sia la prima che la seconda sequenza sibillina ripetono una delle figure vaticinanti. Le due successioni sono quindi rispettivamente di 15 e 11 libisse. In quella più estesa ad essere citata due volte è l'Ellespontina, nell'altra la Cumana. Pur nella libertà di ordine con cui le sibille venivano rappresentate nel Medioevo e nel Rinascimento, c'é almeno un caso in cui le due pizie vengono rappresentate insieme. Compaiono affiancate in uno dei pennacchi di campata della chiesa conventuale di Santa Maria di Canepanova a Pavia (1500-1507). Curiosamente, l'architetto responsabile della costruzione dell'edificio era proprio lo stesso Giovanni Antonio Amedeo firmatario dei contratti tra le fabbriche ecclesiastiche milanesi e le cave di Ornavasso, Candoglia e Crevola. E ancora venivano dall'Ossola i mastri scultori rimasti per tre generazioni, tra il XV e il XVI secolo, sia a Milano che a Pavia, tutti con cognome “degli Arrigoni”, il cui capostipite era quell'Antonio da Domodossola che tanto aveva lavorato sia per i nobili di Baceno che per i Della Silva, guadagnandosi il nome di “Maestro di Crevola” con i suoi lavori proprio alla Parrocchiale di San Pietro e Paolo.

 

Sibille3 6

 

La dinastia di scultori e il grande architetto ducale furono senza dubbio tra gli artefici del diffondersi nelle valli ossolane degli influssi artistici rinascimentali lombardi. Ma la ripetizione delle due sibille, troppo evidente per essere una svista o uno sbaglio, è un modo antico e nuovo per sottolineare il maggior valore di un elemento sugli altri, attraverso l'iperbole. Quelle ripetute sono “due volte” sibille, appartengono a due – o anche a molti - livelli di significato diversi.

 Elispontica

La duplice pizia della prima serie, l'Ellespontina o Elispontica, annuncia con il suo vaticinio mercuriale la futura nascita del Figlio di Dio. Voce delle voci, voce per eccellenza, è la voce stessa di tutte le sibille. Nelle iconografie classiche rinascimentali il fazzoletto le si incrocia proprio in corrispondenza della gola, come ad abbracciarla. A Baceno poco oltre l'arco in cui è dipinta, procedendo verso est c'é la cappella di San Pietro, la “nuova” Chiesa nata con la venuta del Cristo. Non è difficile quindi identificare la sibilla con la stessa parrocchiale, la chiesa-baluardo della cristianità tridentina.

In questo intrico di simbologie, però, non si esprime solo il ruolo che il clero controriformato ha assegnato a Baceno, ma anche il carattere profondo e antico del luogo, che trascende i loro scopi di potere.

 Sibille3 5

 

Secondo la tradizione, infatti, la chiesa, già prima di diventare la sontuosa parrocchiale oggi visibile, nonostante la dedicazione al primo vescovo novarese, Gaudenzio, era conosciuta e visitata sopratutto per l'antica Vergine Lattante ivi affrescata. Comunemente si ritiene che si tratti delle Virgo Lactans di gusto gotico affrescata in un angolo dell'antico ingresso dell'oratorio, oggi Cappella del Rosario.

Ma tale cappella doveva presumibilmente già esistere prima del 1326, anno di costruzione del portico e del 1372, anno in cui l'atrio fu destinato a cappella del Rosario. Un documento datato 7 aprile 1326 che istituisce la Cappellania della Madonna mostra che, quando la chiesa primitiva era stata distrutta per erigerne una di più ampie dimensioni (non ancora quella a tre navate, cinquecentesca), doveva già esistere una “Cappella della Madonna” in altra posizione rispetto alla successiva del Rosario. Forse si trovava sul lato opposto. Ma non è escluso che potesse essere la stessa chiesa primitiva. San Gaudenzio nel 1039 viene infatti donata da Gualberto ai Canonici di Santa Maria di Novara.

A tale prodigiosa e antichissima immagine “mariana” si rivolgeva la gente della valli, che giungeva fino in paese per adorarla, chiedere conforto o aiuto e portare doni in ringraziamento. Quella madre dal viso misterioso era insomma il nume tutelare cui rivolgersi tanto per tutti i problemi individuali e sociali quotidiani. La facciata interna alla cappella dell'arco opposto alla Vergine è in tal senso un vero e proprio catalogo di richieste: mani, braccia, gambe, occhi e parti anatomiche in segno di grazia ricevuta per traumi, ma anche oggetti di uso quotidiano, strumenti, animali per il lavoro nei campi e per il sostentamento, bastoni e stampelle.

 

Sibille3 7

 

Tra gli altri oggetti affrescati, che forse all'inizio venivano portati e lasciati fisicamente ai piedi della Madonna Lattante, c'é poi una tipologia particolare di doni, che sembrano asciugamani o mantelle. Più precisamente sono sciarpe o ampi fazzoletti bianchi da indossare sulla testa e annodare al collo, proprio come quelli che velano le immagini delle profetesse e in particolare dell'Ellespontina.

Èevidente che laMater era riconosciuta come sibilla, depositaria della conoscenza, consigliera dell'uomo in tutti gli aspetti della sua vita, da quelli sociali e territoriali a quelli agricoli e dispensatrice di cure e benedizioni agli infermi.

Identico ruolo dovevano ricoprire le tanto temute donne di Baceno e Croveo, forse le ultime “sacerdotesse” di riti perduti, che furono riconosciute streghe e processate dagli inquisitori. Come si evince dagli interrogatori conoscevano l'utilizzo delle erbe medicinali, praticavano forme rituali arcaiche ed erano dotate di grandi capacità.

Soprattutto, grande era il potere delle loro parole, ne bastava una per maledire a vita e portare a morte certa. Unte con un olio portentoso e gridando, nel buio della notte le streghe raggiungevano il luogo del sabba per danzare orgiasticamente insieme al loro dio fino all'alba. Lo stesso appellativo “strega” deriverebbe appunto da “strix”, civetta, l'uccello sacro alla Dea (il suo nome scientifico non a caso è Athena Noctua), il simbolo di onniveggenza, saggezza e vita, con riferimento al suo elaborato richiamo notturno portatore di presagi.

owlathena

Forse alla capacità di udire la voce sibillina e alla necessità di orecchie fini per riuscire a sentirne il canto si riferisce un particolare e antico glifo inserito nella base del campanile della parrocchiale di Crevoladossola, unico altro luogo della valle in cui sono effigiate sibille: un omino a braccia spalancate in un gesto di accoglienza, con enormi padiglioni auricolari ben aperti.

Non si può a questo proposito non ricordare la storia dell'Asino d'oro di Apuleio, in cui già compaiono alcuni elementi di quella che poi sarà l'identica e assai più tarda tradizione stregonica medievale. Protagonista è Lucio, giovane di Patrasso appassionato di magia che si reca in Tessaglia per affari. Qui in casa del ricco Milone, affascinato dai prodigi della moglie-maga del suo ospite, Pànfila, capace perfino di tramutarsi in uccello, cerca di imitarla, ma sbaglia unguento e si trasforma suo malgrado in un asino.

Come tutte le maghe, anche è una sacerdotessa di quella dea dai mille nomi e dalla voce terribile cui nella stessa opera Lucio scioglierà una accorata preghiera: “...la notte con le tue urla spaventose e col tuo triforme aspetto freni l'impeto degli spettri e sbarri le porte del mondo sotterraneo, errando qua e là per le selve, accogli propizia le varie cerimonie di culto... con qualsiasi nome, con qualsiasi rito, sotto qualunque aspetto è lecito invocarti:concedimi il tuo aiuto
nell'ora delle estreme tribolazioni, rinsalda la mia afflitta fortuna, e dopo tante disgrazie che ho sofferto dammi pace e riposo
”.

 

asino02

 

La sibilla e le sue sacerdotesse, come le streghe, avevano potere di vita e di morte. Secondo un altro latino, Lucano, che riporta l'episodio nei Pharsalia, Sesto, figlio di Pompeo, dopo lo scontro tra pompeiani e cesariani a Durazzo, fugge in Tessaglia e va a consultare la potente maga Erìttone La pizia si serve del cadavere di un soldato che, rianimato, profetizza la morte di Cesare, la sconfitta di Pompeo e la rovina di Roma.

Alla Dea celebrata da Apuleio e da Lucano si riferisce ancora più prepotentemente l'altra sibilla ripetuta di Baceno, quella Cumana, presente due volte nella seconda serie di sibille. È la Deìfobe virgiliana, figlia di Glauco (protettore di Cuma) e forse di Scilla, la profetessa del sole Apollo che aveva mostrato il futuro ad Enea. La donna col vaso che compare di fianco al mostro inabissatosi nel Canale di Sicilia su alcune monete corinzie, Leucotea-Pirene, potrebbe essere proprio lei, “leuco-tea”, letteralmente la Dea Bianca, la Mater Matuta dei latini, la Madre-delle-madri, l'antica.

 SibillacumanaBac

 

Attributo classico della sibilla Cumana è la tazza d'oro, poi diventata mangiatoia e in qualche caso culla. Il suo vaticinio cristianizzato è quello della Morte e Resurrezione di Cristo, quale prefigurazione della fine del Mondo. Annuncia il cambiamento, la trasformazione, la stessa espressa dal “graal” della tazza con cui viene di solito raffigurata.

E' la dea bianca e nera, “la genitrice dell'universo, la sovrana di tutti gli elementi, l'origine prima dei secoli, la totalità dei poteri divini, la regina degli spiriti, la prima dei celesti; l'immagine unica di tutte le divinità maschili e femminili:sono io che governo col cenno del capo le vette luminose della volta celeste, i salutiferi venti del mare, i desolati silenzi degli inferi. […] Perciò i Frigi, i primi abitatori della terra, mi chiamano madre degli dei, adorata in Pessinunte”.

Proprio una sibilla aveva fatto in modo, attraverso i Libri Sibillini, che nel 204 i Romani prelevassero la statua “aniconica” (una pietra) di Cibele nel suo sacrario a Pessinunte per portarla a Roma e collocarla nel nuovo tempio a lei dedicato sul colle Palatino. Nero era il simulacro della dea e “sibilla”, secondo una interpretazione basata su una riminiscenza illirica, significherebbe “vergine nera”. Proprio una Madonna Nera è quella del Santuario di Montevergine, nell'avellinese, sorto, pare, proprio su un antico tempio dedicato a Cibele.

 CibeleFrigia

Ma se ancora ci fossero dubbi sulle sembianze dell'unica sibilla platonica, di cui le altre non sono che specificazioni, è bene ricordare che almeno una volta essa le mostrò chiaramente. L'episodio è registrato già da Niceforo e prima ancora nella Storia di Tessaglia del greco Suida ed è stato poi ripreso nel Mirabilia (1140-43) e nel Graphia le prime ”guide turistiche” medievali di Roma.

Una colonna forata, forse a scopo astronomico, con l'epigrafe “A CUBICVLO AUGUSTORUM”, ancora esistente nell'attuale chiesa che vi sorse sopra, ricorda il luogo esatto.

Correva più o meno l'anno I a.C. L'imperatore Ottaviano Augusto, chiuso nella sua stanza nel palazzo sul Capitolio, stava consultando, come spesso faceva, la sibilla. I libri dei vaticini erano custoditi li accanto nel nuovo tempio dedicato a Giunone Moneta (ammonitrice), a quella dea detta anche Lucina, portatrice del latte, poiché da alcune gocce stillate dal su seno si sarebbe formata la Via Lattea. Chissà, forse ad Augusto venne un dubbio, forse gli passò per la mente che, in realtà le sibille non esistessero davvero.

D'improvviso, come se l'avesse chiamata, la sibilla rispose. Pare gli abbia detto: “Questa è l'ara del figlio di dio”, come a indicare che in quel luogo andava costruito un nuovo tempio.

Poi, gli occhi di Augusto, per un istante la videro.

Videro una donna, seduta.

In grembo, sulle ginocchia, teneva seduto un bambino.

 

 Antoine Caron

 Antoine Caron: Apparizione della sibilla ad Augusto

 

 


BIBLIOGRAFIA

Giuliana Poli, L'Antro della Sibilla e le sue sette sorelle, Edizioni Controcorrente, Napoli, 2008

R. Zanzarri (a cura di), Marsilio Ficino: Religione Cristiana, Città Nuova, 2005

Robert Graves, I miti greci, Longanesi, 1954

Jean Chevalier e Alain Gheerbrant, Dizionario dei simboli, Rizzoli, 1989

Maria Gimbutas, Il Linguaggio della Dea, Venexia, 2008

G. L. Beccaria, I nomi del mondo. Santi, demoni, folletti e le parole perdute, Einaudi, Torino, 1995

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Émile Mâle, Quomodo Sibyllas recentiores artifices repraesentaverint, Paris, E. Leroux, 1899

V. M. Fontana, Sacrum theatrum dominicanum, Roma, 1666

R. Pirro, Sicilia sacra, Palermo, 1733

Enrico Gatti, Odisseo, Milano, Ed.Virgilio, 1975

Joyce Lussu, Il Libro delle Streghe, Transeuropa 1990 (ripubblicato con il titolo Il libro delle streghe. Dodici storie di donne straordinarie, maghe, streghe e sibille, a cura di Chiara Cretella, Gwynplaine, 2011).

Joyce Lussu, Il Libro Perogno. Su donne, streghe e sibille, Il Lavoro Editoriale, 1982

Mariangela Monaca (a cura di), Oracoli Sibillini, Città Nuova, 2008

Alonso de Villagas Selvago e Giulio Cesare Valentino, Nuovo leggendario della vita di Maria Vergine Immacolata madre di Dio, per Giovanni Antonio Remondini, 1732

Cesare Ripa, Iconologia del cavaliere Cesare Ripa perugino notabilmente accresciuta d'immagini, di annotazioni, e di fatti dall'abate Cesare Orlandi patrizio di Città della Pieve accademico augusto, Costantini, 1767

Aa. Vv., Storie ed Arte nella Chiesa dei SS. Pietro e Paolo di Crevoladossola, Oscellana, 1999

Enzo Basello, San Gaudenzio in Baceno, 2000

Tullio Bertamini, La cappella degli esorcismi, Oscellana nr.1 2004, Oscellana, Domodossola, 2004

 


 

Pubblicato in Personaggi
Sabato, 14 Marzo 2015 15:30

Il lupo, l'airone e una "gran puzza di zolfo"

Lo condannarono con l'accusa di “luteranesimo” non perché fosse seguace dell'ostinato riformista teutonico, ma poiché non sapevano cosa imputargli. C'era qualcosa nelle sue opere, nella sua pittura, che inquietava i benpensanti e “puzzava di zolfo”. Era di certo “non-cristiano”, su questo non c'erano dubbi. Così gli inquisitori di Milano lo raggiunsero nel 1561, lo indussero a confessare, lo processarono e gli inflissero adeguata punizione.

Luteranesimo

Non fu messo al rogo, Giacomo da Cardone di Montecrestese, abile pittore. Aveva fatto ammenda. Non era una strega né un predicatore eretico, era soltanto non-cristiano, ammorbato dal seme peccaminoso del dubbio. Ah, quale terribile e demoniaca infermità! Lo giudicarono malato di peste nell'anima, con il cuore rosicchiato dai topi, servitori del diavolo e portatori del bubbone. Solo San Rocco avrebbe potuto salvarlo da quella pestilenza spirituale. Gli ordinarono di dipingerlo affinché fosse salvo e gli cucirono addosso una croce per esorcismo perpetuo.

SanRocco

Infine lo rimandarono a casa, nella piccola frazione sopra Roldo. Riabbracciata la moglie e i figli, scampato a pericoli peggiori, ma con il marchio dell'infamia addosso, Giacomo si fece costruire una nuova casa, più confortevole e vi si nascose. Temeva la riprovazione dei concittadini e gli attacchi dei suoi detrattori ed avversari. Ma l'ingiustizia proprio non gli andava giù. Così, tra le mura domestiche, si lasciò andare al più libero sfogo, affrescando i muri interni con ciò che, con forza ancor maggiore, serbava nel cuore.

CasadiCardoneGoogle

Le “grottesche” che corrono lungo i muri della casa di Giacomo di Cardone, popolate di teste urlanti, serpi, figure dionisiache e vegetali sinuosi come serpi, sono il sipario, l'apparenza che cattura l'occhio e distoglie l'attenzione. Nulla invece direbbe il dipinto che domina tutto, la “Predicazione di San Giovanni” il cui unico elemento insolito, di “disturbo”, è proprio il Battista, ritratto di fronte mentre guarda, muto e scoraggiato, appeso al bastone, l'osservatore, sperando che si accorga che nulla è ciò che sembra.

GrottescheDiCa

Ad una prima occhiata, ciò che si vede è la chiara denuncia del pittore che si immedesima nel santo “decapitato”. Alla sua destra, dietro di lui, quelli che dovrebbero ascoltarlo invece gli parlano alle spalle, condannandolo... come le parole del Battista giunte alle orecchie di Salomé avevano causato la sua decapitazione, così i “sussurri”, le “voci”, i “pettegolezzi” sul conto di Giacomo all'Inquisizione, gli avevano “tagliato la testa”, l'avevano privato del suo “pensiero”.

PredicDeform

Ma, un giorno, giustizia sarebbe stata fatta sul suo conto. Nel dipinto il Gesù in lontananza, venuto quale “sole di giustizia” dopo Giovanni, è il riscatto sperato alle spalle (dopo la morte) del Battista-di Cardone. Il paesaggio in cui la scena si svolge, del resto, non è affatto il deserto giudaico, bensì i dintorni di Montecrestese e precisamente le balze immediatamente a sud della casa del pittore, nella frazione omonima.

MontagnedaCardone

 

Certo, era un vezzo di molti pittori quello di inserire episodi biblici ed evangelici nei paesaggi del loro tempo ma, in questo caso, così reale, pare proprio che l'intenzione del pittore fosse quella di accentuare e sottolineare il suo identificarsi con il “battezzatore”.

 

PredicDirezioniWeb

Non è, non può esserlo, casuale neppure la collocazione dei personaggi nell'ambientazione. Le ombre corte raccontano che è una giornata di sole, verso l'ora di mezzogiorno, l'ora del “sol invictus” che si eleva al di sopra di tutto. Trovato il sud, si trova il nord, l'est, l'ovest. Gesù “proviene” da Nord est, Giovanni si trova a sud est. Sono le posizioni in cui sorge il sole ai solstizi. Eresia! Paganesimo! Non è forse l'Est, l'Equinozio, o a volte il Nord, l'unica direzione astronomica ammessa dalla cristianità?

Giacomo dipinse i “due leoni” alchemici, le due “porte”, quella “degli uomini” e quella “degli dei”, il ritmo di distruzione-creazione nascosto nel “solve-et-coagula”. Sono qui invertiti, ma non senza ragione. Gesù, solstizio invernale, “proviene” da nord-est, dal solstizio estivo, poiché è Giovanni a “illuminare” il suo futuro cammino. E viceversa.

PredicGraficaWeb

Forse, nel frequentare Milano e i grandi pittori dell'epoca, di Cardone aveva cominciato a intuire una verità nuova, la stessa che nascose in ogni opera di casa sua. C'é un “graffito” su legno, non lontano dalla “Predicazione”, in cui riprodusse una favola antica, di Esopo e poi di Fedro: “Il lupo e l'Airone”.

«Un lupo aveva ingoiato un osso e andava attorno per trovare qualcuno che lo liberasse. S’imbatté in un airone, e lo pregò di estrargli l’osso dietro compenso. Quello cacciò la testa nella gola del lupo, tirò fuori l’osso e poi reclamò l’onorario pattuito. Ma il lupo gli disse: "Caro mio, non sei contento d’aver tirato fuori intera la testa dalla bocca del lupo? E osi ancora chiedere un compenso?". La favola mostra che il più gran compenso che si possa ottenere dai servizi resi a un malvagio è quello di non essere ricambiato con un sopruso» (Esopo, CCXXIV; Fedro, I, 8).

È di nuovo un'accusa: lui che si era prestato a decorare chiese e cappelle cristiane, tra le fauci dei “cristiani” quasi ci aveva lasciato la testa...LupoAirone

Ma l'airone, a ben guardarlo, non è un airone! Il collo è sinuoso come quello di un cigno, la testa pare quella di una cicogna, solo il corpo è simile a un airone. È una chimera... una fenice, simbolo dell'astro solare. Il lupo, altrettanto, cavalcatura delle streghe e degli stregoni in volo verso il sabba, il lupo che ulula alla luna, è un animale delle tenebre. Giacomo ha forse rappresentato il sole mentre viene “ingoiato” dalle tenebre, il sole alchemico che muore e si rigenera?

Di nuovo l'ambientazione, che pur si richiama alle campagne di Montecrestese, nasconde una “risposta”. Non ha nulla a che vedere con la favola rappresentata né con altre simili. Ma è il luogo perfetto di un certo mito greco, la storia di Leda, sedotta da Zeus trasformatosi in cigno. Così la immortalavano all'epoca. Leonardo ne aveva da poco fatto un meraviglioso dipinto, andato perso ma di cui si conservano copie e interpretazioni. La somiglianza strutturale tra i due paesaggi forse è più che una semplice suggestione.

LedaCopiaUffiziWeb

Leda partorì due uova... come la fenice che rinasce uovo dalle sue stesse ceneri. L'esoterismo islamico la chiama “kibrit ahmar”, “zolfo rosso”. La sua esistenza è leggendaria. Pare si trovi vicino all'Ovest, in prossimità del mare. Essenza rara, simboleggia l'uomo che “non ha pari”.

Tale è l'uomo che primeggia in sapienza. Ma se la sua sapienza è ammorbata dall'orgoglio e dall'egoismo, comincia a puzzare, come lo zolfo giallo che sale dalle profondità infernali.

Nessuna altra sapienza poteva essere profumata per un inquisitore, se non quella di Santa Madre chiesa. Le altre non erano che “puzze” diaboliche...

 

 


BIBLIOGRAFIA:

Gian Franco Bianchetti, Il pittore Giacomo di Cardone, in Oscellana, 1988
Tullio Bertamini, Le disavventure del pittore Giacomo di Cardone, in Oscellana, 1991
Aemilius Chambry (recensuit ), Aesopi fabulae, II voll. Paris, 1925-1927
G. S. Schwabe, Phaedri Augusti liberti Fabulae Aesopiae libri V, 2 voll., Brunsvigiae, 1806
Jean Chevalier e Alain Geerbrant, Dizionario dei simboli, Parigi, 1969
Erich Fromm, Il linguaggio dimenticato, New York, 1951
Robert Graves, I miti greci, 2 voll., 1963
Martin Theodoor Houtsma, Encyclopédie de l’Islam, Parigi, 1913-1938
Frederic Portal, Des couleurs symbolique, dans l’Antiquité, le Moyen Age et les Temps Moderne, Parigi, 1837

 


 

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