Giovedì, 17 Gennaio 2013 11:01

Trappola ossolana per demoni (2)

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Nel post con cui presentavo il breve studio su una trappola per demoni rinvenuta in Ossola, ho evidenziato la sua somiglianza funzionale con certi vasi e scodelle tipiche della tradizione mediorientale antica, di quella ebraica e islamica. Ma, in verità, esistono "dispositivi" simili in innumerevoli tradizioni di tutto il pianeta.

Pennick, in un suo testo relativo alle tradizioni magiche del Nord Europa, ad esempio, cita due diverse "trappole". Una è la cosiddetta "bottiglia delle streghe" del Cambridgeshire. Bastano una bottiglia non più lunga di 15cm e un po' di filo rosso. Si sminuzza il filo in pezzettini e li si infila nella bottiglia, poi la si posiziona sul davanzale di una finestra oppure la si sigilla in una nicchia di un muro o ancora la si seppellisce sotto la soglia di casa.

 

 

witchbottle

L'altra è la sua variante più complessa, che viene preparata tagliando dei rami di prugnolo di lunghezza adatta, cui viene attaccato un occhiello di filo di rame avvolto con del filo rosso.
Intorno al cerchio di rame viene avvolto del filo rosso in modo tale da creare un disegno radiale, Poi, la trappola viene posta su un percorso abituale compiuto dagli spiriti (tra un cimitero e una casa, all'ingresso di un luogo sacro abbandonato ecc.). Infine davanti ad essa viene accesa una candela, che funge da esca. Lo spirito, attratto dal lume, finirà per rimanere "impigliato" nei fili. Se ciò accade, il filo viene tagliato e sigillato in una bottiglia di vetro che sarà poi sepolta in terra consacrata.

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Lo stesso tipo di dispositivo sull'Himalaya, è quello noto in Buthan come "dzoe" (o tendo). Ha approssimativamente la forma di un cestino di rami e paglia con inserti colorati, arricchito con esche a base di frutti e piccoli bocconi di cibo.

Quanto alla natura dei "demoni" che possono essere catturati è varia e non si limita agli spiritelli vaganti che infestano boschi e caverne.

Nella cultura shamanica nord americana e non solo, la malattia è sempre causata da "entità" che in qualche modo si attaccano all'uomo. Perciò il "guaritore" (medicine-man) usa delle vere e proprie trappole per catturare lo spirito responsabile e allontanarlo dal paziente.

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Harner ha descritto, tra i dispositivi utilizzati, una treccia formata da piccoli sacchetto di stoffa legati insieme e riempiti di tabacco, di cui le "entità" sarebbero ghiotte. Entrate nei sacchetti non avrebbero più la capacità di uscirne.

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Una pratica shamanica più complessa è quella del tamburo e della cera. Lo shamano scioglie della cera vergine in un pentolino, poi comincia a a camminare in senso orario intorno al malato salmodiando e battendo ritmicamente un tamburello, che funge da "chiama-spiriti". Non appena lo spirito lascia il corpo del malato e si avvicina alla cera rimane invischiato come una mosca sulla ragnatela. Allora lo shamano rallenta il tamburellare e versa la cera nell'acqua: la cera si rapprende e mostra le fattezze dello spirito che vi è rimasto definitivamente imprigionato.

Il rito si conclude bruciando la cera.oppure seppellendola ai piedi di un albero, lontano dalla casa del malato. In ogni caso, immediatamente nel primo, più lentamente nel secondo, lo spirito finirà per essere restituito al mondo naturale.

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Quale che sia la forma e lo scopo finale di questi dispositivi, tutte le culture, presenti e passate, insistono nell'importanza di trattarli con molta attenzione e di non usarli se non si hanno le necessarie conoscenze.

Soprattutto, è meglio lasciar stare le pietre. Se sono state messe in un certo posto e in un certo modo, un motivo ci sarà. E non è questione di esser superstiziosi, ma di più semplice e pratico buon senso.

Tanto per fare un esempio, lo scrittore, ricercatore e geobiologo francese Roger De Lafforest, citava in un suo interessante libro, il caso dei mucchietti di pietra simili a piccoli castelli, che - almeno fino a una quarantina di anni fa - si vedevano in un campo presso il paese di Bagnoles Sur Marne. Li definisce, senza molti giri di parole "depositi di sofferenza umana".

Chi in quel villaggio soffre di dolori reumatici, infatti, per disfarsene il più in fretta possibile, dorme ogni notte con una pietra appoggiata accanto al punto dolorante. Il giorno seguente porta la pietra ai margini del campo e comincia a costruire una piccola piramide di rocce. E così, con un'altra pietra, il giorno successivo e quello dopo ancora, finchè la piramide è conclusa. A quel punto potrà considerarsi libero dai dolori.

Ora, come le pietre hanno assorbito quelle sofferenze, così, stando agli anziani del paese, riescono a "restituirle". Perciò vietano tassativamente ai bambini di andarci a giocare o anche solo di toccarle!

 

 


APPROFONDIMENTI
Intervista con Michael Harner

 

http://www.studisciamanici.it/sciamani.html

Sito ufficiale di Nigel Pennick

http://www.nigelpennick.com

 


BIBLIOGRAFIA

 

Roger de Lafforest, Ces maisons qui tuent (Houses that kill), Jay Lu, 1970

Michael Harner, La Via dello Sciamano, ed. Mediterranee 1995

Nigel Pennick, Tradizioni Nordiche, Athanor, 1990

Graam Hancock, Shamani, Corbaccio, 2006

Massimo Centini, Segni - Parole – Magia, ed. Mediterranee, 1997

 

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Francesco Teruggi

Scrittore e giornalista pubblicista. Direttore delle collane "Malachite" e "Topazio" presso Giuliano Ladolfi Editore. Autore del saggio divulgativo "Il Graal e La Dea" (2012), del travel book "Deen Thaang - Il viaggiatore" (2014), co-autore del saggio "Mai Vivi Mai Morti" (2015), autore del saggio "La Testa e la Spada. Studi sull'Ordine dei Cavalieri di San Giovanni" (2017), co-autore del saggio storico "Il Filo del Cielo" (2019) pubblicato in edizione italiana e in edizione francese. Presidente dell'Associazione Culturale TRIASUNT. Responsabile Culturale S.O.G.IT. Verbania (Opera di Soccorso dell'Ordine di San Giovanni in Italia).

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