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Santuario Madonna di Oropa, Migiandone: moderne antiche conoscenze
Che le conoscenze antiche non vadano mai del tutto perse è un fatto con cui a volte ci si trova faccia a faccia all'improvviso e non senza grande sorpresa. Così mi è accaduto, visitando un piccolo Santuario tra le alture dell'Ossola, proprio dietro la Punta di Migiandone. Salito attraverso la mulattiera della Linea Cadorna che porta fino al forte di Bara, ho proseguito oltre la “punta”, seguendo la vecchia “strada delle cappelle”, fino ad attraversare i ruderi dell'alpe La Villa e a raggiungere il piccolo Santuario della Madonna di Oropa.
Il complesso di candida calce con il tetto in piode scurite dal tempo, è ben visibile dalla valle, aggrappato alla montagna sopra Migiandone. Ci si può arrivare anche dall'abitato, percorrendo la via Crucis consumata dal tempo che comincia nella piazza.
Probabilmente dove sorse il Santuario esisteva già, come molto spesso accade, una cappella, non più visibile/esistente, dove oggi si trova l'altare maggiore. In ogni caso, la fondazione e costruzione è recente. Tale Gaspare Bessero, cercatore d'oro in Valle Anzasca, pare si trovasse in difficoltà poiché aveva perso il filone nella miniera. Così, passando dal Santuario di Oropa nel Biellese, fece voto di costruire in Ossola un Santuario dedicato alla Vergine Nera, se la Madonna l'avesse aiutato a ritrovare l'oro. Il “prodigio” si verificò e nel 1820 si provvide a cominciare la costruzione del futuro Santuario.
Certamente chi individuò il luogo e progettò il complesso non si è lasciato sfuggire alcun dettaglio e ha fatto le cose per bene. La porzione di montagna alle spalle di Migiandone, nella parte bassa della valle e ricca di rame, (nell'Ottocento qui esisteva una miniera)1 è certamente in perfetta risonanza con la Vergine Nera portatrice di vita feconda e il pianoro è, in tutta quest'area risonante, il punto migliore.
L'insieme è formato dalla chiesa, a croce greca e orientata verso Sud, con annessa sacrestia, campanile e locali d'abitazione. Un porticato a forma di U svasato la cinge sui lati ed il retro. Come ho potuto verificare, il complesso, era concepito come un percorso in tre tappe, un vero e proprio cammino. L'accesso principale era attraverso la Via Crucis. Ogni stazione, oltre a presentare uno dei passaggi salienti della Passione di Cristo, riportava in un motivo discoidale nel timpano una scena evangelica legata alla Vergine, in un delicato gioco di richiami e rimandi. Così, la prima stazione che si incontra salendo -l'unica ancora discretamente conservata, gli affreschi delle altre sono in gran parte perduti- mostra il momento in cui Cristo prende la croce e al di sopra, l'incontro di Maria con Santa Elisabetta.
La seconda tappa, per chi giungeva dal basso, era il passaggio nel porticato, che si apriva verso la chiesa in dodici punti.
Sul muro corrispondente ad ognuno, era di nuovo rappresentata la vita della Vergine, a partire dalla sua nascita, fino all'Assunzione. Un tredicesimo affresco, sul fondo dell'ultimo tratto concludeva il ciclo con l'Incoronazione di Maria.
Solo questo si conserva ancora, insieme ai primi due della serie, che però sono in un grave stato di abbandono, deturpati dalla mancanza di rispetto di noi contemporanei. Gli altri, nonostante i tentativi di proteggerli, si sono già sgretolati.
Compiuto il camminamento, si poteva accede attraverso una delle aperture laterali, direttamente al portico della chiesa e all'interno del Santuario, avvicinandosi prima all'altare di sinistra, poi a quello centrale ed infine a quello di destra.
Armonicamente, come in un “labirinto” antico, la prima parte serpeggiava in salita invitando il pellegrino a lasciare dietro di sé ogni cosa, il camminamento coperto procedeva in senso antiorario preparandolo lentamente, quello in chiesa in senso orario l'amorevole attenzione della Vergine ai fedeli.
L'intero percorso non era strettamente necessario a chi giungeva invece agli alpeggi. O perché vi era già passato salendo oppure perché veniva da Ornavasso e dai Santuari del Boden e della Guardia. Entrando da Est, accedeva direttamente, dall'ultima tappa del corridoio coperto, alla chiesa.
Una leggenda racconta del tesoro nascosto all'Oropa di Migiandone. Pare che Gaspare Bessero, lungimirante, avesse nascosto parte dell'oro prodigiosamente ritrovato grazie alla Madonna Nera, in un luogo sicuro: dietro (o dentro) la statua della Vergine. Dopo averlo personalmente deposto, aveva lasciato detto, ai pochi messi al corrente del segreto, che avrebbe dovuto essere prelevato soltanto cent'anni dopo, al preciso scopo di servire per gli inevitabili interventi di restauro e conservazione del santuario.
Quando, trascorso il tempo, si procedette all'ispezione del nascondiglio, però, fu trovato vuoto. Ma in quei cento anni l'intera parentela di Gaspare Bessero si era estinta a causa di malanni e infinite sfortune. Sicché le voci di popolo riconobbero presto, nei parenti del cercatore d'oro, i colpevoli e nella loro sorte la giusta punizione che la Provvidenza aveva riservato a quegli avidi traditori...
NOTE
1"78/1. Migiandone. Miniera di rame in Comune di Migiandone, Circondario di Pallanza, Provincia di Novara concessa con Decreto R. 6 febbraio 1858 ai sigg.ri Carlo Pelham Clinton, ingegnere Nicola Harvey e dottore ingegnere William Watson, avente l'estensione di ettari 138.58.32". 1858-1877
BIBLIOGRAFIA
Remo Bessero Belti,La Madonna d'Oropa di Migiandone, 1985
C. Jonghi Lavarini, Ornavasso nella sua storia sacra e civile, 1934
E. Bianchetti, L'Ossola Inferiore, 1878
Ed ora pensiamo alle presentazioni...
Militum Christi: tra Templari, ospitalieri, Madonne e sacralità antica in Ossola
Presentazione ufficiale a Ornavasso (VB): le foto
Come acquistare DeenThaang - Il viaggiatore
Editore: Giuliano Ladolfi
Collana: Agata
ISBN: 978-88-6644-142-7
Pagine: 256, a colori
300 foto a colori
Anno di edizione: 2014
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